Al di là

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sabato 21 marzo 2015

Il bambino "sintetico"

E' di questi giorni una curiosa polemica tra due stilisti e un cantante a proposito di bambini figli di coppie gay, definiti da qualcuno bambini sintetici A questo proposito ho fatto una riflessione per dare alle parole un significato il più preciso possibile affinché, quando si fa una scelta, si sappia almeno di cosa si tratta. Essere genitori significa, in prima battuta generare</i> un figlio. Nessun essere umano è in grado di generare un figlio da solo, ma necessita di un altro essere umano di sesso opposto al proprio, affinché dall'unione di due parti prodotte dal corpo di ognuno nasca e quindi si generi una creatura nuova mai esistita prima e frutto dell'incontro dei due esseri umani. 1 + 1 = 3 Nella pratica comune e in natura coloro che generano un figlio hanno poi il compito, che sorge spontaneo, di accudirlo, nutrirlo, farlo crescere, tutto questo con l'ausilio dell'Amore che si genera a livello psichico. Accade purtroppo che alcuni genitori, dopo aver generato un figlio fisicamente, non siano in grado di accudirlo e di farlo crescere ( e qui evito le ragioni). Ecco che davanti a un bambino abbandonato nasca la necessità di un'adozione. E qui entrano in campo individui che, per ragioni diverse nelle quali non entro, abbiano la possibilità di accudire quel bambino e ne diventino genitori adottivi. In verità i genitori adottivi non sono genitori nel senso stretto del termine perché non hanno generato nessuno e non possono avere le caratteristiche biologiche simili a quelle del bambino e questo è un dato che, anche se non determinante per molti aspetti, va tenuto presente. Questi potranno però generare a livello psichico quell'Amore necessario a far crescere il bambino in un ambiente a lui favorevole e questo è una soluzione valida e di grande aiuto per un bambino in difficoltà. In mancanza di una mamma e di un papà come natura vuole ecco che riusciamo, attraverso l'Amore e il desiderio di fare qualcosa di buono a risolvere una situazione altrimenti tragica. Altra cosa è generare un bambino sapendo già, in partenza, che a questo bambino saranno tolti, per nostra scelta e non per un accidente, i genitori biologici. Sapere chi siamo, ma anche da dove veniamo è una necessità psichica che va rispettata se si può e finché si può. Togliere la propria conoscenza biologica a un essere umano per la soddisfazione di un desiderio di un'altra persona, per me, non è accettabile. Questo è quello che succede nella fecondazione eterologa ed è per questo, nonostante il conformismo corrente, che questa pratica non mi pare accettabile. Non penso sia una scelta di libertà, penso invece che sia una menomazione volutamente perpetrata ad un altro essere umano. Questo bambino non è assolutamente sintetico</i>, come qualcuno ha detto in modo assolutamente inappropriato e forse anche cattivo, è un bambino come tutti gli altri ma al quale è stato tolto qualcosa di importante.

venerdì 31 ottobre 2014

Amore criminale e TV criminale

Oramai in molte trasmissioni televisive l'argomento fondamentale è la violenza in famiglia e la violenza sulle donne. Assistiamo a telegiornali che ci informano con puntualità di ogni delitto alle varie trasmissioni che ci illustrano il crimine con dovizia di particolari, testimonianze e commenti di "esperti". Tutto questo condito da una normale e giusta esecrazione. Ma qual'è il vero scopo di queste trasmissioni? Se la televisione deve svolgere un servizio il suo scopo dovrebbe essere quello di, nei limiti delle sue possibilità, far diminuire questi delitti e far sì che le tensioni, esistenti in qualche mente, si attenuino. Sembra invece che il risultato sia prprio l'opposto. L'altra sera, esplorando i vari programmi TV, mi sono imbattuta nell'immagine di un grosso coltello insanguinato nelle mani di un uomo che si accaniva su una povera donna distesa per terra che cercava carponi di scappare. Naturalmente il servizio proseguiva dicendo che la donna era morta oltretutto sotto gli occhi della sorella. Mi sono fermata su questo programma. Testimonianze, discussioni e la scena dell'omicidio ripetuta più e più volte. Da qui nasce la mia riflessione. A chi è diretto questo programma? Sembrerebbe a un pubblico che voglia prendere coscienza di questo problema e in qualche modo reagire. Comunque il consiglio dato alle donne è uno solo: denunciare chi fa minacce. Appare curioso, però, che quasi tutte le donne che sono state uccise si erano rivolte alle forze dell'ordine. Questa dovrebbe essere la prova che denunciare non serve quasi a niente. Ma c'è un'altra categoria di persone alla quale la trasmissione arriva nolente o volente e sono quelle persone, in prevalenza uomini, che covano dell'astio verso le loro compagne. Vedere la ripetizione di una scena violenta, anche se accompagnata da un commento denigratorio, provoca in una persona alterata e in situazione di delirio, perché chi commette un omicidio specialmente di quella specie è in delirio, un'eccitazione ulteriore che può portare a commettere qualcosa di irreparabile. Le cose si possono dire in tanti modi. Le parole possono provocare tante risposte anche tragiche. Sembra che chi fa programmi televisivi ne sia completamente ignaro. E poi perché la ripetizione ossessiva delle fasi di un delitto? Perché trasmissioni su trasmissioni sul solito crimine con la ripetizione paranoica degli stessi particolari? Più questi programmi pullulano e più donne vengono ammazzate. Spesso con la stessa procedura. La stessa procedura vista in TV. La domanda che sorge è: perché questi programmi e più che altro perché questo tipo di costruzione del programma? Ricordate che chi ci governa conosce molto bene la psiche delle persone e quello che viene studiato è soprattutto la risposta di una persona con un basso livello di coscienza a certi stimoli. E basso livello di coscienza non significa persona basso livello sociale; anche un direttore d'azienda o un avvocato possono essere a un livello psichico molto primitivo. E su queste persone molti messaggi possono agire in modo preciso. Non si sa su chi, non si sa dove, ma questi messaggi che vengono lanciati da qualche parte colpiscono. E i risultati si vedono!

domenica 19 ottobre 2014

Il "senso" nel tatuaggio

Quando ero giovane i tatuaggi quasi non esistevano. O meglio, li avevano gli ex detenuti, qualche militare, marinai o persone molto anziane. Mio nonno portava tatuato, all'nterno dell'avanbraccio sinistro, "T'amo Dina" Era il nome della moglie con la quale rimase sposato per sessantacinque anni. Se lo era tatuato mentre era imbarcato come marinaio durante la prima Guerra Mondiale. Si erano sposati per procura. Lui sulla nave davanti al comandante e lei a Livorno davanti al sacerdote. Cose d'altri tempi. La storia del tatuaggio risale alla notte dei tempi e qui, ad esempio, se ne può leggere una breve storia Ci sono tatuaggi fatti per ribellione, per obbligo, per appartenenza, addirittura per cura. Ma il "senso" del tatuaggio al giorno d'oggi?. Sembra che nei tempi moderni, intorno agli anni 70 sia stato reintrodotto dai bikers e dai punk come atto di ribellione alla morale in voga all'epoca e,negli anni ottanta, iniziò timidamente una moda piuttosto provocante, cominciarono a vedersi alcuni tatuaggi, più che altro in alto sul braccio, ma, comunque, in posti del corpo ben precisi. Più gli uomini che le donne. Dopodiché delle timide farfalline cominciarono ad apparire anche sui polsi e sulle spalle delle donne. E da lì, piano piano, è stato tutto un crescendo fino al giorno d'oggi. Attualmente i tatuaggi abbondano sia come numero di persone tatuate, sia come superficie corporea. Oramai i temi sono infiniti dai più romantici ai più aggressivi, dai più teneri ai più violenti e le persone che li adottano le più disparate dalle ragazzine alle nonne, dai ragazzini ai direttori d'azienda. La domanda è: quando è scattato il clic che ha fatto sì che il tatuaggio diventasse così comune o meglio chi lo ha fato scattare? Come mai quest'esigenza? A quale bisogno risponde chi si fa un tatuaggio? Le risposte "razionali" sono tante. Ma ricordiamo che il "razionale" non fa parte di una propria nostra esperienza, ma è un qualcosa che "altri dicono sulla base di esperienza altrui" e che quindi non ci appartiene. Le risposte in questo senso possono essere ad esempio voler ricordare un avvenimento importante, oppure un credo, il nome di una persona amata e tanto altro. Ma un tatuaggio è per sempre. E "per sempre" è una parola pesante. In questo mondo dove tutto cambia un tatuaggio è per sempre. Che sia questo il suo fascino? Un punto fermo? Un punto di riferimento in un mondo che punti di riferimento ne ha sempre meno? Per sempre La mia riflessione però è questa. La pelle è un confine netto, un confine che determina, a livello fisico, il nostro Mondo Interno dal Mondo Esterno. E' una protezione. Pensiamo ad esempio a come ci ritraiamo quando uno sconosciuto ci sfiora un braccio. La pelle è il nostro confine, la linea di demarcazione. Al di qua ci sono io, al di là tutto il mondo. Ecco che su questo "confine" cominciano ad apparire scritte, segnali, disegni, che, probabilmente indicano chi vive al di qua. Il tatuaggio quindi potrebbe essere uno strumento di comunicazione tra il nostro Mondo Interno e il Mondo Esterno. Un desiderio di far conoscere all'Altro o meglio a tutti gli altri qualcosa di nostro, qualcosa di personale. Ma c'è un qualcosa che mi inquieta. Dobbiamo ricordare che il tatuaggio è stato usato anche nei periodi oscuri delle varie epoche per "marchiare" le persone. Per inserirle per semprein categorie ben definite da cui non potevano evadere categorie che potevano essere immediatamente identificate. Una schiavutù. Ecco che questa moda così diffusa del tatuaggio mi inquieta. Visto che nella nostra epoca i messaggi subliminali e nascosti sono all'ordine del giorno, quale messaggio occulto ha fatto sì che il tatuaggio divenisse cosa normale qundo cosa normale non può essere? E' normale essere tatuati, se è normale forse potremo essere tatuati anche per essere identificati invece di usare un documento? Magari inserendo nel tatuaggio un microchip? Ecco che quella che alcuni hanno accettato come una forma di libertà in verità potrebbe essere un'arguta manipolazione per controllarci tutti meglio. Ma certamente questa è una mia fantasia.

L'ultimo respiro

Leggo sul quotidiano "IL Tirreno" che a una signora moribonda,ricoverata in ospedale, è stata negata la possibilità di respirare l'ultima boccata di aria fresca prima di morire. I regolamenti dell'ospedale impedivano l'apertura della finestra della stanza, sia per ragioni di climatizzazione,sia per una questione di risparmio energetico e, non ultimo, per la raccomandazione del costruttore: "Le finestre devono rimanere chiuse". Per ottemperare a questa regola la chiave particolare per aprire la finestra era in dotazione alla caposala. La signora, che il giorno dopo è morta, aveva chiesto che la finestra venisse aperta per poter respirare un'ultima volta l'aria fresca che proveniva dall'esterno. Questo episodio mi ha molto colpito e mi ha fatto riflettere. Oramai l'ospedale è diventato il luogo dove, oltre ad essere curati, la maggior parte delle persone muore e, anche, dove quasi tutti i bambini nascono. Due avvenimenti ineluttabili, fondamentali di tutte le nostre vite, ma anche avvenimenti normali, i più normali che possano esistere. Naturalmente esistono situazioni di emergenza, per cui una nascita debba essere fatta obbligatoriamente in ospedale oppure situazioni in cui nella speranza di essere curati, la morte sopraggiunga in ospedale. Ma io non voglio parlare di questi casi, ma di quei casi in cui la nascita si presenta tranquilla e la morte è oramai ineluttabile. In questi casi dove nascere? E dove morire? Quale miglior luogo della nostra casa? Quale migliore compagnia delle persone che ci amano? La nostra casa è un luogo "umano", l'ospedale è un luogo "industriale", dove in modo industriale si accudiscono le persone, sicuramente con competenza, con professionalità. Ma non c'è qualcos'altro di cui l'essere umano necessita? Un ultimo desiderio prima di morire, una mano stretta, l'odore rassicurante e familiare della propria casa o quel piccolo ricordo sul comodino che riporta alla memoria quel momento felice? E chiudere gli occhi così, nel proprio ambiente familiare, vicino cose che ci hanno fatto compagnia per tanto tempo e vicino alle persone a cui, fino all'ultimo, sia possibile fare una piccola richiesta come quella, semplicissima, di aprire una finestra? E quale miglior luogo per affacciarsi alla vita? Nella tranquillità e nella semioscurità della camera dei propri genitori, con vicino il papà e, magari nella stanza accanto un fratellino che può assistere al primo bagnetto fatto, perché no, dal papà? Cose semplici, ma importanti a cui tutti coloro che sono vivi hanno diritto, finchè vivi lo sono. Aver rispetto per le persone dal primo all'ultimo momento di vita. "Un panorama bianco, una distesa di ghiaccio e di neve. Un luogo freddo dove non mi sentirei bene e dove non desidero stare"